mercoledì 5 ottobre 2016

Diciamo pane al pane e vino al vino, una riflessione sulla riforma del Terzo settore da parte del MoVI nazionale

Dal numero 3-2016 della newsletter "Movità" del MoVI nazionale, proponiamo l'editoriale.

Il 6 giugno 2016 è una data importante, perché quel giorno la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato la legge 106 che affida al Governo “la delega per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per
la disciplina del servizio civile universale”. C’è quasi un anno di tempo per l’adozione dei decreti sui vari e diversi ambiti. Un moderato ottimismo è quindi giustificato.
Quella data potrebbe addirittura diventare “storica” se si riuscirà a dissipare dubbi e perplessità che ancora permangono, perché a scorrere il testo non si trova chiarezza nella definizione di due realtà
sorelle, e proprio perché sorelle portatrici di caratteristiche proprie e distinte.
Parliamo di impresa sociale e volontariato. Volontariato si coniuga con gratuità, impresa sociale con profitto (certo, a cui gli azionisti rinunciano e che viene reinvestito nell’impresa). Essa infatti non può
evitare di darsi una organizzazione “da impresa”, considerando costi (materiali e di lavoro) e ricavi (tariffe, sia pure ridotte e selettive a seconda dei bisogni), entrate (rimborsi, sostegni, prestiti…) e uscite (forniture, retribuzioni, oneri…), utili o perdite.
Il volontariato invece – a parte alcune indispensabili spese di segreteria o spese vive di servizio (sempre secondo la concezione della sostenibile leggerezza, anche per quella parte impegnata su
fronti particolarmente complessi) – vive soprattutto di mobilitazione e vicinanza personale, in cui i servizi materiali sono un mezzo per esprimere il fine della prossimità solidale. E per questi oneri intervengono soprattutto le quote associative o la beneficienza, o contributi da parte di Enti quando affidano un incarico.
Insomma, una differenza che sarebbe importante ribadire e difendere, perché esprime davvero due realtà e due concezioni che intervengono fianco a fianco, ma con modalità e spirito diverso. Entrambe legittime, eppure non riducibili l’una all’altra. Il volontariato non costa nulla al fruitore, i servizi di un’azienda noprofit costano, magari poco, ma non potranno essere totalmente gratuiti (o li paga il fruitore o il contribuente salvo qualche benefattore). Né la confusione può essere giustificata dall’uso
frequente che l’impresa sociale fa dell’opera di volontari, perché quella circostanza non può basarsi su un calcolo economicistico (“non mi costa nulla”) ma dovrebbe tenere presente la specificità del
volontariato come “presenza umana”, al di là di una semplice “erogazione di servizio”. In altri termini il volontariato non può essere considerato semplicemente “manodopera gratuita” ma impegno
libero per il bene comune in logica personale di solidarietà, anche quando è “organizzato” cioè espresso collettivamente.
Secondo l’esperienza che noi tutti facciamo quotidianamente, il volontario non consegna, ma porge; non fa semplice presenza, ma ascolta-osserva-consiglia-conforta; addirittura sperimenta e inventa; non vende il suo impegno, ma impegna se stesso anche per difendere (advocacy) e prevenire, non solo per “servire” materialmente. C’è ancora tempo per chiarire con il Legislatore le peculiarità del cammino del volontariato, evitando l’errore di appiattirsi su aspetti economici e efficientistici, e recuperando l’ispirazione ideale e culturale della nostra presenza nella società. E’ necessario che il Legislatore interloquisca con realtà più ampie e varie di quanto abbia fatto finora. Non basta l’impresa sociale (Fondazioni, Cooperative, ONG…), perché essa è altra cosa rispetto all’associazionismo di tipo mutualistico (APS) e ancor di più rispetto al volontariato libero, cioè operante a favore dei non iscritti (ODV).
Siamo consci che anche nel volontariato è in corso una benefica evoluzione che tenga conto della necessità di una sempre migliore risposta alle aspettative della società, e contemporaneamente rimaniamo saldi nel rivendicare una presenza e una rappresentanza non mediata da altri. Per questa ragione intendiamo rilanciare la autoconvocazione proposta nel maggio dello scorso anno e abbandonata da alcuni dei nostri compagni di strada nella riforma del Terzo Settore, forse non sufficientemente consapevoli della importanza strategica del volontariato, e del suo significato nella società di oggi e di domani. L’autunno dovrebbe vedere quindi una ripresa della mobilitazione e un rilancio del dialogo ampio per ricostruire legami più solidi di solidarietà nel Paese. E noi sentiamo il dovere di farcene animatori con le forze che si riconoscono in questi valori che poi sono ben configurati nella “carta dei valori del volontariato” che condividiamo.
Piergiorgio Acquaviva 

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