A proposito di crisi della politica, della disaffezione dei cittadini verso l'impegno e la partecipazione, della cosiddetta "antipolitica" che attraversa anche il Volontariato e il Terzo Settore, abbiamo posto alcune domande ad Andrea Riccardi, tra i fondatori della Comunità di S. Egidio e attuale Ministro per la Cooperazione internazionale e l'Integrazione. Qui di seguito l'intervista rilasciata a Nunzio Bruno dell'Area comunicazione e informazione del CeSVoP.
Prof. Riccardi, in un periodo di grande disaffezione, soffia il vento della cosiddetta «antipolitica» e la diffidenza verso l’attuale ceto politico sembra attraversare anche gli operatori sociali, le realtà del Terzo settore e il volontariato. Dal suo punto di osservazione, che risvolti sta avendo questo fenomeno tra le fila del volontariato. E quali riflessioni le suscita?
C’è bisogno di un rinnovamento dei partiti e della politica, unico argine all' onda di populismo che rischia di travolgere tutto. C’è un «ethos democratico» da ricostruire attraverso la politica, nella convinzione che i partiti siano decisivi per la democrazia. Sì, l'antipolitica mi preoccupa molto e preoccupa molti. Il rischio dell'antipolitica c'è. Ma il governo tecnico non ha mai inteso cavalcarla. Né ha mai considerato la politica democratica uno stanco rito cui sottoporsi. Credo che questo Paese abbia bisogno di più politica, di una politica diffusa e partecipata dalla gente. E parlo di partecipazione attiva, non solo attraverso il voto. Quel tipo di partecipazione che caratterizza il lavoro degli operatori sociali, del Terzo settore e del volontariato, per questo più sensibili al tema. L'antidoto all'antipolitica è una buona politica. E’ quella che stiamo cercando di praticare sin d’ora, rivolgendo l’attenzione proprio al volontariato, a chi ci osserva con gli occhi di crede ancora in valori come quello della gratuità.
A chi è impegnato sul fronte della solidarietà organizzata è proprio necessaria la mediazione politica? Non si potrebbero eventualmente ridisegnare i rapporti con i soggetti economici, sociali e culturali, direttamente, senza alcuna mediazione?
La mediazione come accoglienza delle istanze fondamentali che vengono dal basso e rielaborazione in termini di proposte sostenibili resta a mio avviso fondamentale. In quest’ottica, i partiti restano strumenti essenziali per raccogliere idee e passioni senza le quali non si costruisce nulla. Ma devono essere in grado di far fiorire e fruttare queste idee e queste passioni, attraverso una grande apertura alla società civile.
Ministro Riccardi, dal punto di vista di uno dei fondatori della Comunità di S. Egidio, adesso impegnato in alte cariche istituzionali, quali sono gli aspetti cruciali della crisi della politica, i suoi mali di fondo?
Sant'Egidio ha preso le mosse nel Sessantotto, il grande anno della rivoluzione - chiamiamola così - antropologica. Quello del Sessantotto era un tempo escatologico: c'era un'ansia di cambiamento, di futuro, un'ansia utopica, di chi è convinto di poter costruire il futuro. Le cose sono molto cambiate da allora. La crisi della politica ha molto a che fare con la sua incapacità a rapportarsi con il Tempo. La sensazione è che siamo in un tempo in cui conta solo il presente. Karol Wojtyla, in un verso dei difficili anni polacchi, diceva: «L'uomo soffre soprattutto per mancanza di visione». Manca, alla nostra politica, una visione del futuro, qualcosa verso cui andare, a cui aspirare. Ma manca anche la giusta memoria del passato.
Il Terzo settore e, in particolare, il volontariato quale ruolo «politico» possono giocare nell'attuale contesto socio-economico e culturale?
Nell’attuale contesto questo settore sembra quello che – nonostante qualche segnale di crisi - funziona meglio, forse perché più motivato. Il suo ruolo politico può essere quello di impegnarsi direttamente e nelle diverse forme associative per il conseguimento di alcuni obiettivi, ma anche quello di indicare una strada da percorrere, sia ai partiti sia a chi governa. Secondo l’ultima indagine multiscopo dell’Istat questo momento storico vede una chiara disaffezione da parte dei giovani nei confronti di una politica percepita come qualcosa di incomprensibile e inaffidabile. Mentre, per quanto riguarda la partecipazione alle attività di volontariato, associative e culturali, si evidenzia una buona risposta giovanile (con il coinvolgimento di più di un giovane su dieci). Appare dunque chiaro, che oltre alla necessità di riabilitare la politica agli occhi dei giovani, vi è anche quella di premiare quei settori in cui i giovani si sentono invece a proprio agio.
Ministro, qual è la linea politica del governo Monti nei riguardi della tutela dei diritti e delle fasce deboli della popolazione?
Il Governo Monti è stato chiamato in un momento di gravissima crisi per evitare che l’Italia sprofondasse nel baratro. Il rischio, alla fine dello scorso anno, era che non si potessero pagare più gli stipendi statali e le pensioni. Questo ha comportato una politica di tagli anche molto dolorosi e l’aumento della pressione fiscale. Bisogna essere chiari: è difficile fare politiche sociali senza fondi. Il criterio che ha guidato il governo è stato quello di tagliare cercando di spalmare i sacrifici sul più alto numero di cittadini. L’Italia ha un cancro: quello dell’evasione fiscale. Se non ci fosse questa piaga, non ci sarebbe bisogno di rigore e di tagli. In queste condizioni oggettivamente difficili, siamo però riusciti a dare dei segnali significativi. Penso ai fondi per gli asili nido e per l’assistenza domiciliare agli anziani, i finanziamenti alle imprese giovanili e così via.
Quale futuro avrà lo stato sociale dopo la «cura» del governo Monti?
Credo che al Governo Monti dovrà essere riconosciuto il merito di aver evitato il fallimento dello Stato e di aver posto le basi imprescindibili per la ripresa economica. Chi verrà dopo avrà il compito di coniugare sviluppo e solidarietà e di rilanciare la crescita ma non potrà, mi auguro, tornare alla politica della spesa allegra, del clientelismo, degli sprechi (nunzio bruno, 13 novembre 2012).