L'1 aprile 2015 la Camera dei Deputati ha cominciato ad esaminare il testo di Legge delega proposto dalla Commissione Affari Sociali. Qui sotto la sintesi della seduta così come la propone il settimanale Vita. La discussione in aula riprende l'8 aprile 2015. Per leggere il resoconto stenografico della prima giornata di lavori sulla Riforma clicca qui.
Donata Lenzi (Pd, relatrice per la maggioranza): « La prima cosa che abbiamo fatto è stato definire il terzo settore, in modo dare ad esso una forte identità. Dopo lunga e approfondita discussione, abbiamo detto che il terzo settore è il complesso degli enti privati costituiti con finalità civiche e solidaristiche che senza scopo di lucro promuovono e realizzano attività di interesse generale, anche mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale, conseguiti anche attraverso forme di mutualità, in attuazione del principio di sussidiarietà, in coerenza con le finalità statutarie. Non rientrano in questa categoria i sindacati, le associazioni di categoria, i partiti politici. Una definizione in positivo, invece che una in negativo – settore no profit –, che cerca di definire anche un confine nel quale non a tutti e non tutti sono meritevoli di attenzione o la richiedono; quindi c’è un campo per la libertà di associazione e uno per gli enti del terzo settore che qui vengono riconosciuti».
Marco Rondini (Lega Nord, relatore di minoranza): «Prima di ogni altra argomentazione, è doveroso criticare la ratio stessa del presente disegno di legge che intende classificare come terzo settore tutto ciò che non fa parte dei primi due. I principi generali di questo provvedimento, infatti, delineano un sistema del no profit sostitutivo del settore pubblico e alimentato da agevolazioni fiscali e donazioni dei privati. È la prospettiva del welfare residuale in cui l'impresa sociale potrà intervenire anche in settori quali la formazione universitaria e l'assistenza sanitaria. In sostanza, si apriranno ancora di più le porte alla privatizzazione del welfare e in particolare in due settori che sino ad oggi hanno comunque mantenuto un forte impianto pubblico: la sanità e l'istruzione».
Giulia Grillo (Movimento 5 Stelle, relatrice di minoranza): « Vorrei spiegare perché il MoVimento 5 Stelle è preoccupato non tanto da quelle parti della riforma necessarie, quindi la revisione e il coordinamento della normativa esistente eccessivamente frammentaria e a volte eccessivamente complessa, che si sovrappone in alcune parti, così come la revisione dei registri e tutta la parte del controllo. Addirittura, ieri c’è stata la battuta che questa sembra una legge grillina, perché si parla molto di verifica e controllo, ma noi pensiamo che ciò sia nell'interesse di tutti i cittadini, soprattutto per la parte del terzo settore che interverrà nel pubblico, perché, per carità, nel privato, alla fine, non dico che possono fare quello che vogliono ma è un loro diritto potere essere liberi nel modo di gestire le loro risorse; però, sicuramente, nel momento in cui accedono a finanziamenti e risorse pubbliche – poiché, come dirò, i finanziamenti e le risorse pubbliche sono una fetta enorme –, allora, in quel caso, crediamo che la verifica e il controllo siano una battaglia del MoVimento 5 Stelle, ma una battaglia di democrazia e di tutti. Quindi, se è un po’ grillina questa riforma, siamo anche un po’ contenti, in questo senso. Questa riforma prende le mosse da un tavolo di lavoro in ambito G8, che penso sia stato anche finanziato dal Governo, la task force del Social impact investment istituita in ambito G8, presieduta da Giovanna Melandri, tra gli altri, che appunto analizza questo concetto di finanza sociale».
Marisa Nicchi (Sel, relatrice di minoranza): «L'intenzione della riforma è giusta: quella di riformare e riordinare la normativa; è sicuramente lodevole e condivisibile e noi condividiamo l'intenzione di affrontare, in modo organico, una materia che coinvolge soggetti differenti che sono stati, nel corso del tempo, in continua trasformazione, senza mai una vera strategia ed un coerente assetto istituzionale. Condividiamo l'esigenza di mettere ordine in una confusione che caratterizza un puzzle di norme sedimentate al di fuori di un disegno complesso ed organico. Il lavoro che ha svolto la Commissione, collettivo, è stato certamente un passo in avanti in questa chiarezza; tuttavia, noi siamo molto critici su un punto che emerge da questa discussione, da questo confronto e da ciò che discutiamo oggi, ossia sulla virata che emerge verso una linea improntata ad una filosofia imprenditoriale e privatistica che si palesa in alcune scelte esplicite e in alcuni significativi vuoti».
Silvia Giordano (Movimento 5 Stelle): «La grande differenza rispetto alla legislazione vigente, nonché grande punto di contrasto critico per il MoVimento 5 Stelle, è la ripartizione degli utili. Le imprese sociali sono state sempre, fino ad ora, caratterizzate dall'assenza di scopo di lucro; è, infatti, vietato il lucro soggettivo: il profitto non dev'essere distribuito a soci, associati e partecipanti. In particolare, attualmente la legge prevede un vincolo positivo di destinazione degli utili e il divieto di distribuzione degli utili e delle riserve anche in modo indiretto. Purtroppo, questo divieto non viene cancellato e noi siamo del tutto contrari – in parte lo ha spiegato anche la collega Grillo e lo riprenderemo anche nel corso dell'esame degli emendamenti – perché così si va a creare un profitto, nonché una concorrenza sleale, come è stato detto anche nella relazione dell’Antitrust e nel parere della Commissione attività produttive, e si va in una direzione totalmente opposta rispetto a quella che dovrebbe caratterizzare il terzo settore, tanto che anche la Corte dei conti ha detto che, aggiungendo la distribuzione e ripartizione degli utili, si va pian piano a distaccare l'impresa sociale dalla definizione che noi stessi abbiamo dato del terzo settore».
Edoardo Patriarca (Pd): «Mi preme qui ribadire alcuni punti di valore, se così possiamo chiamarli, che mi fanno dire che questo passaggio parlamentare rappresenti per la società civile italiana e, in particolare, per le organizzazioni del terzo settore, una riforma che ha la consistenza, la densità di una vera e propria riforma costituzionale, che riguarda proprio la proposta di una nuova infrastrutturazione di quella società civile anch'essa parte integrante della nostra Repubblica e riconosciuta tale dagli articoli 2 e 118 della Carta. In particolare, l'articolo 118 afferma che: «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività d'interesse generale sulla base del principio di sussidiarietà». Non è un disegno di legge delega che vuole semplicemente fotografare l'attuale terzo settore: sarebbe un'operazione troppo semplice, si presenterebbe come un'operazione di basso profilo, poco ambiziosa, forse inutile per il Paese. È una riforma che guarda avanti, una riforma che intende fornire gli strumenti necessari affinché i cittadini possano svolgere responsabilmente una cittadinanza attiva e operosa per il bene comune».
Francesca Bonomo (Pd): «Onorevoli colleghi, io penso che quest'oggi veramente si apra una fase fondamentale per il nostro Paese, soprattutto per quanto riguarda anche il rilancio dello strumento del Servizio civile nazionale, che viene reso uno strumento universale. Uno strumento che potrà dare l'opportunità a 100 mila giovani all'anno, a partire dal 2017, di fare un'esperienza formativa, di difesa della patria, di fare un'esperienza veramente utile per la comunità alla quale i nostri giovani appartengono. Questa riforma, proprio in ordine al Servizio civile universale, ha associato, da un lato, l'importanza e il voler dare qualcosa alla storia del Servizio civile, che come noi sappiamo – e rispondendo così anche alla sollecitazione del MoVimento 5 Stelle – è diverso da altri strumenti, perché non è un contratto di lavoro, non è lavoro, non è volontariato: il Servizio civile nazionale appunto nasceva nel 2001, come concorrente rispetto alla difesa armata. Quindi, una difesa non armata della nostra patria, che è insita proprio anche nel popolo italiano, che è sempre stato restio nell'intendere la difesa della patria attraverso l'uso delle armi e della violenza. Infatti, sin dal 1861, dopo l'unità d'Italia e l'introduzione, appunto, dell'obbligo della leva, la coscrizione militare incontrò una grandissima resistenza tra la nostra popolazione, che non ne capiva i motivi e che era costretta anche a subirla forzatamente».
Luigi Bobba (Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali): «Come ha scritto Francesco Occhetta su La civiltà cattolica, questa norma, più che una scelta tecnica e politica, rappresenta per l'Italia una svolta culturale. Credo che quest'aspetto, che diversi di voi che sono intervenuti hanno sottolineato, rappresenti il centro di questo provvedimento, un provvedimento che si presenta come una delle importanti riforme che il Governo nel suo insieme vuole realizzare nel programma che si è dato, non una «riformetta» o un optional, non un qualcosa di aggiuntivo, ma qualcosa di cruciale per il cambio di direzione e di marcia del Paese. In più vorrei ricordare, ai tanti che hanno fatto rappresentazioni un po’ caricaturali del terzo settore, che proprio l'ISTAT nel suo censimento ci descrive già come il mondo e le realtà siano cambiati, siano al di là delle stesse leggi che noi abbiamo. Prima di tutto si pensa che queste attività, queste associazioni, queste realtà organizzate vivano di risorse pubbliche. È vero il contrario: i due terzi delle risorse dei bilanci di questi soggetti sono di natura privata. Si pensa che questi soggetti, pur svolgendo preminentemente attività associative e volontarie, non abbiano attività commerciali. Non è vero: il 47 per cento gestisce anche attività commerciali. C’è stata una, per così dire, concentrazione attorno al tema dei controlli, in particolare da parte del MoVimento 5 Stelle, ma vorrei ricordare che i due terzi di queste organizzazioni hanno bilanci sotto i 30 mila euro e, dunque, più che di controlli, ci sarebbe bisogno di cercare di aiutarle a fare le cose bene. Non credo che sia lì il problema. Ancora, queste organizzazioni non hanno oggi un riconoscimento, non hanno oggi una personalità giuridica e, dunque, sono prevalentemente soggetti, appunto, senza un riconoscimento giuridico. Nonostante l'accento che è stato posto da tanti interventi sul tema del welfare, vorrei ricordare che questa legge non è una riforma del welfare. Queste organizzazioni per più del 60 per cento operano nel campo turistico, culturale e sportivo. Bisogna quindi che pensiamo la legge, pensando a quella che è la realtà, altrimenti rischiamo di fare una legge al di fuori della realtà. Secondo punto: ci sono tre principi basilari, con i quali andiamo ad individuare questi soggetti, a normarli, a sostenerli, a incoraggiarli e anche a esercitare la forma di controllo. I tre principi basilari contenuti nella legge sono: la finalità non lucrativa; scopi e attività di utilità generale; e anche il concetto innovativo, che la relatrice ha ben ricordato, di impatto sociale, reale e positivo. Sono tre concetti che, se li utilizzeremo bene sia nella dimensione normativa, sia nella dimensione promozionale, sia nella dimensione di vigilanza e controllo, ci consentiranno di mettere in campo un'operazione ambiziosa, che cambierà in qualche modo la direzione di marcia del modo con cui queste realtà diventano e sono parte integrante della vita del Paese». (fonte www.vita.it)
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